Croce normanna sui ruderi del castello di Bova superiore.

La fortificazione fu costruita in epoca Normanna, purtroppo la pesante spoliazione ha lasciato visibile solo la rocca su cui l’edificio era stato eretto.

Ph Massimo Danza

La punta più alta del borgo, nel cuore di ciò che fu il castello, è oggi occupata da una grande croce che si staglia ben visibile anche da molto lontano.

Ai piedi della croce si può godere di un panorama mozzafiato: in lontananza spunta il profilo inconfondibile di Pentedattilo, i ruderi del castello Ruffo e ai piedi di quest’ultimo il corso dell’Amendolea nel punto di confluenza confluenza con la fiumara di Condofuri.

Chianalea di Scilla

Il borgo di Chianalea di Scilla è uno di quei posti che ti rimane nel cuore. Una piccola gemma della costa Viola fatta di casette a picco sul mare, di panorami sullo Stretto che ti rapiscono, di sfumature dal verde smeraldo che ti lasciano lì, con gli occhi che non riescono più a staccarsi da quella meraviglia.

Da sempre è definita “la piccola Venezia del Sud”. Il motivo? Le case sono costruite direttamente sugli scogli e separate da piccole viuzze, proprio come i canali della Serenissima.

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Pentedattilo borgo carico di fascino e mistero

Pentedattilo sorge arroccato sulla rupe del Monte Calvario dalla caratteristica forma che ricorda quella di una ciclopica mano con cinque dita.

Pentedattilo, borgo carico di fascino e mistero, è immerso in un paesaggio incantevole, la Vallata Sant’Elia, dove è possibile ammirare le bizzarre rocche arenarie di Santa Lena e di Prasterà in mezzo alle distese di ginestra, agli ulivi, ai gelsi e ai fichi d’India, e in primavera ai mandorli in fiore e alle mimose.

La Vallata custodisce inoltre, distribuiti nel territorio tra Pentedattilo e Fossato, diversi mulini dalla tipologia a ruota greca, in passato alimentati dalle acque della fiumara Sant’Elia, risorsa importantissima per l’economia della vallata.

Ma l’elemento che più di ogni altro cattura l’attenzione è la maestosa rupe di arenaria sovrastante il borgo.

Bova la capitale della grecità in Calabria

Arroccata su un’altura dell’Aspromonte orientale, Bova è considerata la capitale della grecità in Calabria, il centro più importante delle comunità greche o Bovesia. Un’isola linguistica che comprende Bova, Condofuri, Gallicianò, Roccaforte del Greco, Roghudi, dove si parla ancora un dialetto di derivazione greca e si conservano le tradizioni dell’antico Oriente. La tradizione grecanica sopravvive nell’artigianato tessile, nella produzione di coperte e tappeti di gusto orientale, dalle accese policromie, e non solo.

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Dallo sperone roccioso di Bova superiore

Dal balcone di Bova, posto in posizione panoramica a 850 metri d’altitudine, è possibile abbracciare con lo sguardo tutto l’arco costiero. Il borgo è uno dei centri più importanti dell’isola grecanica della provincia di Reggio Calabria e vanta una lunga storia di cui rimangono molte tracce nell’abitato. Il castello Normanno (secoli X-XI), ridotto a rudere, sorge in cima a uno sperone roccioso.

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Il punto Stretto

Lo Stretto di Messina è un luogo ricco di suggestione e fascino. Ecco chi erano Scilla e Cariddi, i leggendari mostri dello Stretto di Messina.

Scilla, “colei che dilania” strappando i marinai dalle loro navi ogni volta che passavano vicino alla sua tana nello Stretto, in origine fu una bellissima ninfa, di rara bellezza, secondo alcuni figlia della dea Crateiso; secondo altri di Forco, divinità marina della mitologia greca, e di Ecate, dea degli incantesimi e degli spettri, rappresentata dal numero tre. La ninfa amava passeggiare lungo le spiagge di Zancle, l’antica Messina. Secondo una versione, la sua bellezza era pari alla sua vanità, tanto da non concedersi a nessuno dei suoi corteggiatori, tra cui Glauco, dio marino per metà pesce.
Perdutamente innamorato di Scilla al punto da ricorrere all’aiuto della maga Circe, a sua volta interessata alle attenzioni di Glauco al punto da non elaborargli una pozione d’amore ma un’altra, versata nello spazio d’acqua in cui la ninfa era solita turffarsi.La malcapitata Scilla, immergendosi nelle acque toccate dal maleficio, si trasformò in un orrendo mostro… un essere con 12 potenti zampe e 6 teste di orribili cani, dotate di immense fauci e tre file di denti aguzzi. Disperata per il suo orribile aspetto, la ninfa decise di nascondersi sotto le acque marine, scaricando tutto il suo rabcore neri confronti dei marinai che vi si avvicinavano.Il mostro fu ucciso da Ercole, irato per la perdita di parte del suo gtegge durante l’attraversamento dello Stretto di Messina ma per la natura divina della creatura, venne resuscitata e riposta a guardia di quel tratto di mare.

Per Cariddi, “colei che risucchia”, figlia di Poseidone e di Gea, Madre Terra, sottrasse dei buoi dal gregge del semi dio Eracle per mangiarseli, al passaggio dallo Stretto. Zeus la trasformó in un mostro e Cariddi rimase nello Stretto di Messina, nella riva opposta a Scilla, tracannando enormi quantità di acqua per poi risputarla con violenza in mare, causando vortici che inghiottono le navi di passaggio provocando naufragi.

Soffitto della Basilica di San Nicola a Bari

Il soffitto della navata centrale é stato dipinto dal pittore Carlo Rosa di Bitonto (BA), così come i soffitti del transetto e del triforio. Egli lavorò dal 1661 fino al 1673. Nel dipinto ottogonale si vede San Nicola che al Concilio di Nicea dimostra il dogma della Trinità all’imperatore Costantino. Infatti egli regge nella mano un mattone da cui escono delle fiamme, ossia se in un mattone possono coesistere acqua, terra e fuoco. Nel secondo dipinto, quello rettangolare San Nicola salva dei pescatori da un cetaceo e sopra di loro troneggia la Immacolata Concezione. Nel terzo dipinto ottogonale, San Nicola riporta Adeodato dai suoi genitori.

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Bari inedita dal faro borbonico

Ph Massimo Danza

È il biglietto da visita della città. La prima fotografia di Bari per chi arriva da mare. Il vecchio faro del molo borbonico, quello che accoglie i turisti sbarcati dalle crociere. Nascosto, dimenticato perché quasi invisibile. Eppure da quella lanterna di ottone sulla punta della torretta c’è una vista della città che ne restituisce quasi il fascino del secondo Ottocento.